MOJA DOTA DI NORA VERDE
Nora Verde, alias Antonela Marušić, (Dubrovnik, 1974) è presente sulla scena culturale croata dagli anni Novanta ed è una delle principali attiviste femministe e autrici di libri sul tema delle minoranze di genere. Nel suo ultimo romanzo Moja dota/La mia dote uscito recentemente per i tipi di Oceanmore di Zagabria l'autrice si cala nelle vesti della bambina Nela per raccontare le vicissitudini e le battaglie di chi sin dall'infanzia si sente e percepisce diverso, ovvero non conforme alla maggioranza, sia nell'ambito famigliare che in quello pubblico e sociale.
Il romanzo prende avvio all'inizio degli anni Ottanta in una Croazia ancora parte della Jugoslavia comunista, paese investito sempre più da uno stile di vita tipicamente occidentale e consumista. Settimane bianche, viaggi, regali e cene al ristorante sono privilegi dei più benestanti, dei quali i genitori divorziati di Nela, la madre lavoratrice e il padre alcolizzato e buono a nulla, non fanno parte. Il massimo a cui Nela può aspirare per la sua impeccabile pagella a fine anno scolastico sono due libri dell'amata collana Scoiattolo, o un paio di vestitini che comunque non ama portare. L'epicentro geografico del racconto è Vela Luka sull'isola di Korčula, il luogo di origine della famiglia materna nonché il paese dove la bambina trascorre le estati ospite della nonna. Nel 1981, l'anno con cui si apre la storia, Nela, bambina di sette anni, è abbastanza grande per intraprendere da sola il viaggio verso una delle isole più distanti della Dalmazia centrale. Il tragitto in nave in mezzo a isolani chiassosi e turisti italiani e tedeschi è insieme stimolante e frustrante per la bambina timida e curiosa della varia umanità dalle cui borse spuntano cose stuzzichevoli e mai viste. Una volta sull'isola, tra i campi e la casa della nonna, Nela si fa prendere dall'eccitazione della scoperta, ma anche dalla frustrazione del confronto con un mondo a cui seppur legata sente di non appartenere. <<Di chi sei piccola?>> le chiedono a volte gli isolani, non appena si affaccia fuori dal cortile, alludendo alla sua parlata non proprio locale e, forse, a qualcos'altro. “Già, di chi sei?” sembrano chiedersi i suoi stessi famigliari, in primis la madre, quando la bambina imbronciata accoglie le bambole dalle braccia delle sue amiche. Se da una parte Nela beneficia delle attenzioni e della saggezza della nonna, dall'altra si attira le avversioni dello zio, un uomo rozzo e autoritario, che d'estate per via del lavoro si divide tra la casa della madre e quella di famiglia in un paesino all'interno dell'isola. A volte basta un cucchiaio fuori luogo sulla tavola apparecchiata o la vista di un fumetto nelle mani della bambina perché lo zio adirato sfili fuori la cintura e si scagli contro di lei. In quei momenti Nela si ritira sotto un tavolo e piange arrabbiata, ma dentro di sé si promette che un giorno si vendicherà per iscritto. Le pomate della nonna sono utili a far passare il bruciore delle chiazze rosse sulle gambe, ma non a dare sollievo alle ferite dello spirito il cui unico rimedio è nei "libri di tristi e infelici". Ogni estate viaggiano con lei nella valigia tomi di classici locali e stranieri che "anche se non capisco leggo e rileggo fino a quando non trovo un accesso al mio mondo". Nela appunta non solo ciò che legge nei libri, ma anche ciò che le racconta la nonna. È affascinata dalle donne audaci che prendono la vita di petto, pronte a sacrificarsi anima e corpo per ciò in cui credono. La figura centrale in questo senso è quella della nonna che nel 1944 in seguito alla capitolazione italiana e prima dell'arrivo dei tedeschi trova il coraggio di attraversare con due figli piccoli il Mediterraneo per rifugiarsi nel campo profughi di El Shatt in Egitto. Ma anche e forse soprattutto quella della partigiana Bruna, di madre italiana e padre croato, di cui la bambina scopre che fu tra le prime a prendere il fucile e che non si è mai sposata. Nela ne imita l'aspetto immortalato su una fotografia in bianco e nero dopo averla recuperata in una scatola dell'armadio dove è solita frugare di nascosto.
La ricerca identitaria di Nela non procede solo attraverso l'imitazione delle gesta, ma anche attraverso l'individuazione di una voce e una lingua propria. "Quando parlo con me stessa sono un maschio..." afferma la bambina la cui parlata oscilla tra una lingua insulare, “quella deformata” come lei la definisce, ricca di parole di origine italiana sedimentatesi nell'idioma locale all'epoca della dominazione della Repubblica di Venezia, e quella sua, vera “dei libri”.
Moja dota/La mia dote è un romanzo dolce e denso come la salsa di pomodoro che la nonna mischia e rimischia attenta a non farla attaccare al fondo della pentola, un intreccio di ricordi che l'autrice si porta dietro negli anni quale lascito più prezioso, la sua dota per l'appunto, delle ormai lontane estati sull'isola.
Nora Verde è lo pseudonimo di Antonela Marušić, autrice di racconti e romanzi fra cui si segnalano “Posudi mi smajl/Prestami uno smile”, “Do isteka zaliha/Fino all'esaurimento scorte”, “O ljubavi, batinama i revoluciji”/Dell'amore, delle botte e della rivoluzione”. È una delle iniziatrici del portale femminista Vox Femminae. Collabora con diversi portali croati e della regione ex jugoslava il cui focus è sulla cultura indipendente, media, letteratura, musica e diritti umani. È membro dell'Associazione croata degli scrittori e dell'Associazione degli artisti indipendenti.
Moja dota, Nora Verde, Oceanmore, Zagreb, 2021, pp. 174.
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