SIGURNA KUĆA DI MARINA VUJČIĆ
È notte fonda quando la trentasettenne Lada Lončar viene cacciata di casa da suo marito. Non è la prima volta che semivestita si ritrova sullo zerbino davanti al proprio ingresso. Origlia, ma da dietro la porta non si sente arrivare alcun rumore. Mentre, stanca e sfinita dall’ennesimo atto di violenza, se ne sta accovacciata sullo zerbino, l’unico pensiero a mantenerla in vita è quello della fuga il giorno dopo. Pensa a tutto quello che farà al mattino, non appena suo marito se ne andrà all’università, per mettere al sicuro se stessa e la bambina. Questa volta è pronta e decisa a vincere il proprio orgoglio e ad accettare qualsiasi soluzione le venga offerta. Quando la porta finalmente si riapre, lei, sommessa, entra e si dirige verso la cameretta. Si infila nel lettino desiderosa di stringersi alla bambina, di farsi confortare dalla sua vicinanza che in queste condizioni precarie non può che essere momentanea. Lui, ancora più ubriaco di prima, si avvicina al letto, l’afferra per i capelli e la trascina in cucina. La posa sul piano della cucina per un chiarimento rimasto in sospeso. Che l’abbia denunciato ai servizi sociali, è qualcosa che non gli va giù. Chi è lei per valutarlo, per incolparlo, per stabilire quanto lui debba o non debba bere? La prende per le spalle e la scuote. Le mette prima una mano, poi anche l’altra sul collo. La sua stretta è sempre più forte e a lei, in fin di forze, viene quasi più facile abbandonarsi che resistere. In quel momento dalla stanzetta prorompe il pianto della bambina. Lì per lì Lada prova quasi vergogna per aver voluto morire, per aver dimenticato la bambina che ha bisogno di lei, per aver pensato di fuggire dalla vita, qualunque essa sia. Pure lui ha sentito il pianto, ma non allenta la presa. Lada cerca di respingerlo, di svincolarsi per soccorrere la bambina, ma invano. Prova a lanciare un urlo, ma lui le tappa la bocca. Sta ormai per soffocare quando da qualche parte di fianco afferra il coltello da cucina e glielo ficca nel petto. Mentre il corpo di suo marito giace per terra privo di vita, lei incredula fissa le proprie mani insanguinate. Scorre con lo sguardo le varie parti del corpo che un tempo aveva tanto amato: occhi, bocca, piedi, spalle, denti. Ha ucciso invece di finire uccisa. È stata una questione di attimi. Un brevissimo lasso di tempo in cui da vittima si è trasformata in carnefice. La bambina è ormai giunta sulla scena del delitto, che mai potrà dimenticare. È lei la sua unica testimone, dall’epoca prima del fatto. Dopotutto chi altro conosce la sua verità? Chi può testimoniare a suo favore? Cosa sanno gli altri della sua vita una volta chiusa la porta di casa? Mai nessuna prova evidente di violenza, fratture o lividi. E quello che non si vede non conta. Chi, dopotutto, è pronto a credere che suo marito, un uomo colto e gentile con tutti, un professore universitario, possa essere stato così violento? La maggior parte delle persone, siano essi familiari o vicini, si fa ammaliare dall’apparenza, soprattutto quando si tratta di certe classi sociali. La violenza non si addice a un certo status. È più probabile invece che sia la donna la persona problematica, viziata, volubile, stramba.
“La donna è vittima solo se è morta”, scandisce Marina Vujčić nel suo romanzo Sigurna kuća/Casa sicura, storia di una calzante drammaticità che si preoccupa di dare voce a chi non avrebbe mai immaginato né voluto diventare carnefice, ma, per un motivo o altro, lo è diventato. Dal carcere femminile di Požega, dove si conclude e al contempo inizia il racconto di una tragica vicenda familiare, Marina Vujčić fa emergere, tappa dopo tappa, con puntualità e precisione, le dinamiche di un rapporto d’amore patologico tra una donna ingenua e generosa e un uomo abile manipolatore restituendoci una storia di profondo impegno sociale. Nel delineare l’anatomia di un crimine familiare la voce della narratrice si fa comprensiva nei confronti della vittima-carnefice, mentre assume toni polemici e accusatori verso la società, dalla famiglia alle istituzioni e i media, che invece di tutelare spesso alimenta il pregiudizio permettendo al carnefice di perpetuare la propria violenza e alla vittima di ricredersi nonché di sottovalutare la dimensione del proprio sacrificio.
Sigurna kuća è un romanzo che andrebbe letto perché parla di tutti noi e dell’innegabile realtà intorno a noi.
Marina Vujčić (Trogir, 1966) è una scrittrice e drammaturga croata. Ha scritto sette romanzi e numerosi drammi teatrali per i quali ha ricevuto prestigiosi premi. In Italia è uscito il suo Questione di pelle, Bottega Errante Edizioni, 2021.
Sigurna kuća, Marina Vujčić, Fraktura, Zagreb 2024, pp. 207.
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