LA PARABOLA DEL MANDARINO DALMATA
È la stagione dei mandarini, palline arancioni con foglie verdi, frutti tanto noti e familiari che difficilmente riusciamo a immaginare provenienti da terre lontane. Ma come tante altre piante anche i mandarini nascondono un’origine diversa e una storia migrante. Originari dell’Estremo Oriente a un certo punto si sparsero nel resto del mondo e all’inizio dell’Ottocento raggiunsero anche il Mediterraneo. Oggi abbiamo i mandarini cinesi naturalizzati spagnoli, italiani – o meglio siciliani, calabresi, pugliesi –, i mandarini maltesi e anche quelli croato-dalmati. Il radicamento del mandarino nella terra d’oltremare, sulle sponde dell’Adriatico orientale, non fu facile né immediato. Come per le persone migranti, anche per i frutti migranti ci vuole un terreno fertile, un clima e un ambiente adatti, perché emettano radici, si sviluppino, crescano e si espandano. Chi li accoglie deve essere disponibile a conoscerli, a capire come trattarli e rapportarsi a loro. All’epoca quando comparvero in Dalmazia i mandarini vennero percepiti come frutti esotici e curiosi. Fino a quel momento si conoscevano solo i loro simili, i limoni e le arance, introdotti molto tempo prima. Le arance erano frutti rari e pregiati delle tavole più abbienti e benestanti. Erano associate ai pittoreschi trabaccoli pugliesi dai quali, all’inizio del Novecento, sbarcavano in tutta bellezza facendo sfoggio sulla sponda orientale. Queste arance portavano con sé l’aria dell’Occidente, il richiamo di terre lontane, il profumo dei meravigliosi giardini terrazzati d’oltremare. Ma che prospettive poteva avere un mandarino accanto a un’arancia, già conosciuta e apprezzata? Probabilmente nessuna, se non gli fosse capitato un amico e un estimatore profondo che l'aveva assaporato e apprezzato. Questo amico, un uomo colto e curioso, riuscì a convincere gli agricoltori dalmati a investire il loro tempo e denaro per far crescere e radicare il mandarino. Il trapianto del mandarino diede risultati favolosi. Grazie alla sua coltivazione un’estesa area paludosa nella valle della Narenta fu trasformata in una delle zone più fertili della Dalmazia. “La California jugoslava!” si vantavano gli agricoltori ogni volta che qualche amico o collega veniva a trovarli. Ma a un certo punto nella terra di adozione del mandarino scoppiò una guerra. Pure il mandarino, come tanti altri frutti, ne rimase sconvolto e disorientato. Perse molti dei suoi estimatori, amici e consumatori. La sua stessa sopravvivenza venne messa a rischio. Venne declassato, disprezzato, in gran parte abbandonato. Gli dissero che erano in troppi e che doveva cercarsi un’altra sistemazione. Fortunatamente lo vollero in Russia. Là i mandarini non crescevano e i russi ne erano ghiotti. Ma la sua fortuna nel profondo nord non ebbe lunga durata. Anche lì ci fu una guerra, tra russi e ucraini. Poco dopo lo scoppio del conflitto un decreto europeo contro il governo russo rese impossibile il suo spostamento verso quelle terre. Così il mandarino dovette rimanere a casa, confuso e infelice. “Siete in troppi”, continuano a ripetergli ogni giorno i croati , “il mondo è pieno di mandarini come voi, anche più economici. È costoso mantenervi”. E il mandarino dalmata non sa più cosa fare. È evidente che a casa non può restare, e d’altra parte, andarsene via è un’impresa quasi impossibile. Al mandarino non sta bene marcire sugli alberi, vuole servire al suo scopo. Vuole nutrire, rendere felice e sana la sua gente. Nell’attesa di capire quale sarà il suo futuro è sempre più consapevole della propria impotenza e del fatto che le sue sorti non dipendono solo da decisioni locali, ma anche da quelle di gente lontana che forse mai conoscerà.
Questo breve racconto di Estera Miočić si ispira a un articolo di Jurica Pavičić apparso sul quotidiano Slobodna Dalmacija il 13 novembre 2014: Mandarina je opet postala metafora Hrvatske/Il mandarino è diventato di nuovo la metafora della Croazia.