LORO NON UCCIDEREBBERO UNA MOSCA
Quest'anno ricorre il ventesimo anniversario della strage di Srebrenica, il massacro in cui furono uccisi e gettati nelle fosse comuni più di settemila civili musulmani. La guerra nell'ex Jugoslavia, come è noto, non fu solo una lotta per l'indipendenza e la difesa della propria patria da parte dei serbi e dei croati, ma anche un atto di pulizia etnica che ha coinvolto vasti strati della popolazione.
Ma chi erano i protagonisti di questi crimini, uomini le cui atrocità hanno sconvolto e indignato il mondo intero? E come si è arrivati a commettere crimini di tale portata?
Della questione si è occupata in modo particolare Slavenka Drakulić in numerosi articoli, nonché nel suo suggestivo libro They Would Never Hurt a Fly. War Criminals on Trial in the Hague. In questo volume, pubblicato da Abacus nel 2004 e giunto ormai alla nona edizione, l'autrice esamina alcuni casi di persone processate per crimini contro l'umanità arrivando a concludere, con una certa dose di amarezza, che nulla, proprio nulla, distingue questi uomini da persone comuni. Parlando di tre bosniaci serbi (Kunarac, Kovač e Vuković) accusati di stupri di massa, torture e violenza sulle donne musulmane, la Drakulić constata: “Loro appaiono così normali. […] Se vi fosse capitato di incontrare qualcuno di questi tre uomini prima della guerra, probabilmente non li avreste considerati particolarmente violenti. Loro non erano diversi da altri uomini – tre ragazzi a cui piaceva bighellonare nei bar del paese.“
Anche se concorda sul fatto che in ogni comunità c'è una percentuale di persone malate pronte a commettere i peggiori crimini, tale considerazione non può spiegare o giustificare la quantità di violenze manifestatesi in quegli anni. Per la Drakulić sono altre le questioni che hanno avuto un ruolo scatenante in questa terribile vicenda: pressioni sociali e politiche, nonché la mancanza di verità storica. Ricordando la sua infanzia nella Jugoslavia di Tito la Drakulić afferma: “la mia generazione è cresciuta senza aver studiato la storia – la storia che sapevamo era una bugia, falsità.“
La politica dell'odio e della distruzione perseguita dai leader nazionalisti alla fine degli anni Ottanta ha fatto sì che i vicini di casa si trasformino in nemici, che “le persone comuni – un autista, un cameriere, un commerciante – diventino criminali per opportunismo, paura e, non di meno, per convinzione.”
Il meccanismo che ha portato a tutto ciò è già noto nella storia dell’umanità, spiega l'autrice citando come esempio l’antisemitismo nella Germania nazista, ovvero la costruzione dell'altro come oggetto di odio: “Si inizia“ dice l'autrice “identificando l’oggetto d’odio e fornendo ragioni convincenti per esso. Le ragioni non devono essere razionali o necessariamente vere. La cosa più importante è che siano convincenti, perché è proprio ciò che le rende accettabili alle persone. Simili 'giustificazioni' si basano di solito sui miti (per esempio il mito dei serbi come nazione sacra, o il mito dell'indipendenza croata, un sogno durato cent'anni) e sui pregiudizi (i serbi sono primitivi, i croati sono nazisti, i musulmani sono stupidi). Esse sono efficaci se questi miti e pregiudizi si radicano nella realtà, così come nella storia delle guerre precedenti, nelle differenze culturali e religiose”.
L’odio è efficace, dice la Drakulić, se le persone si abituano ad esso lentamente, passo dopo passo, finché non viene assorbito nelle loro vite quotidiane. A quel punto “gli ‘Altri’ diventano privi di tutte le caratteristiche individuali. Non ci sono più conoscenti o professionisti con nomi specifici, abitudini, apparenze e caratteristiche; a posto loro ci sono membri del gruppo nemico. Quando, in tal modo, una persona è ridotta a un'astrazione, si è liberi di odiarla poiché l'ostacolo morale è stato già abolito. Se è stato ‘dimostrato’ che i nostri nemici non sono più esseri umani, non siamo più obbligati a trattarli come tali. Poco importa se così facendo pure noi ci riduciamo a una categoria astratta, che non siamo più individui poiché agli occhi del 'nemico' anche noi diventiamo ‘Altri’”.
In Croazia, come nella Germania nazista, è successo proprio questo, dice la Drakulić: si è smesso di salutare le persone di altre nazionalità, forse solo perché si aveva paura di essere visti come coloro che riconoscevano gli altri. “È incredibile”, commenta la scrittrice, “che un’apparentemente insignificante concessione, questo piccolo atto di adattamento alla nuova realtà dell'omogeneizzazione nazionale, ci abbia posti su una strada pericolosa […]. Molte persone in Croazia, Serbia e Bosnia si sono adattate a un misto di propaganda di Stato, opportunismo, paura e indifferenza che ha creato la regola di comportamento senza essere veramente consapevoli delle conseguenze”.